sabato 26 gennaio 2013

26/01/2013 Quattro passi (si fa per dire) sulle colline Avisane

Visti gli impegni mattutini mi metto d'accordo con Elisa per una camminata pomeridiana: "Ciao Eli, pomeriggio vieni a far quattro passi alle Ville?" "Ok" "A dopo".
Ci troviamo alle 13.40 e c'incamminiamo verso Lavis, risaliamo la collina e ci spingiamo fino ai Masi Clinga di Pressano. Qui prendiamo il sentiero che s'inerpica sul Doss Paion e giungiamo sulla strada che porta al maso Paierla dove, dopo una breve pausa, imbocchiamo il sentiero che sale sul Monte Rosa.
Saliamo imperterrite nel bosco, per poi sbucare nei vigneti cembrani e, con bel panorama sulle Dolomiti di Brenta, giungere al passo Croce (618 m). Qui ci spostiamo verso le Ville e poco prima dell'abitato (675 m) ci fermiamo a far merenda al sole.
Si fa tardi così ci incamminiamo lungo strade di campagna verso Palù di Giovo, dove prendiamo il Sentiero della Rosa che scende verso Mosana. Facciamo un tratto sulla strada provinciale e poi prendiamo un'altra stradina che ci porta al maso Franch.
Poco oltre al maso scendiamo lungo i vicoli del Bristol, ovvero le vecchie vie di Lavis, che ci portano vicino a casa.
Sono le 17:30 ed ormai è scuro.. i quattro passi sono diventati 14 chilometri.. poco male!

Verso Passo Croce
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lunedì 21 gennaio 2013

20-21/01/2013 E finalmente neve fu.. ciaspolada al lago del Vedes (Grumes)

Giungiamo - io, Claudio, Elisa e Flavio - a Grumes verso le 10 e finalmente la troviamo imbiancata.
La temperatura si aggira sui -4/5°, scarichiamo armi e bagagli e zaino in spalla c'incamminiamo lungo la strada, giunti alla fine di questa calziamo le ciaspole.
Anziché percorrere la forestale imbocchiamo il sentiero, man mano che saliamo aumenta anche la neve. Finito il tratto di sentiero, rintercettiamo la forestale e la seguiamo fino al passo Pozmar.
Al valico prendiamo la strada che porta alla baita del Lonz, nei cui pressi deviamo sul sentiero verso il biotopo del Vedes.
Entriamo in una valletta che ha un che di magico, il rivo che la solca è parzialmente coperto dal ghiaccio e la neve è incollata sugli alti fusti degli abeti.
Siamo quasi al lago, incontriamo le prime betulle e le mughete che lo circondano, facciamo il giro ed entriamo nella torbiera dove, approfittando di qualche sparuto raggio di sole, mangiamo qualcosina.
Prendiamo poi la strada forestale che scende a Valdonega: il manto nevoso è inviolato, a parte dei grossi cervi non è passato nessuno, scendiamo così su un tappeto di neve soffice e polverosa.
Oltrepassiamo la località Le Pause e poco oltre imbocchiamo il vecchio tratturo che scende al Casel dei Masi. Questo tratto è abbastanza ostico perché il fondo sotto la neve è ciottoloso e ci si inciampa in continuazione.
Ben presto giungiamo a casa; nel frattempo sono arrivati anche i miei genitori, veniamo quindi accolti dal caldo del camino e da un fumante piatto di pasta.
Nel tardo pomeriggio comincia a nevicare, prima piano poi sempre più forte; così fra un pandoro e infinite partite di Bang e King giunge l'ora di andare a dormire.

Il risveglio è uno dei più belli: apro la porta e tutto è ricoperto dalla neve.
Nevicherà per tutto il giorno.
Continuo a guardare dalla finestra: i meleti sono ormai ricoperti dalla neve, i camini della rade case stanno tutti fumando, un fringuello si contende le briciole con una coppia di variopinte cinciarelle e le nebbie lambiscono le cime dei larici in fondo al prato.
Il silenzio è rotto solo da qualche abbaio di cane.
Sospiro e mi vengono alla mente le parole del compianto Mario Rigoni Stern:

"La neve verrà leggera come piccole piume d'oca, soffermandosi prima sugli alberi, quindi filtrerà tra i rami posandosi infine sui cortinari gelati, sugli arbusti di mirtillo, sul muschio come velo di zucchero su una torta.
Le lepri, i caprioli, i cervi staranno immobili a guardare il nuovo paesaggio.
Le volpi dentro la tana spingeranno fuori il naso per fiutare il nuovo e antico odore che ritorna.
Ma quando sarà tutto bianco, si ricorderanno gli scoiattoli dove hanno nascosto le provviste?
Il vecchio urugallo dello Scoglio del Tasso volerà sull'abete dove generazioni della sua famiglia hanno aspettato la primavera nutrendosi delle sue foglie.
Il bosco sarà immerso in un tempo irreale e io andrò a camminarci dentro come in un sogno.
Molte cose appariranno chiare in quella luce che nasce da se stessa.
"

Un'ultima partita a King e poi dobbiamo nostro malgrado scendere a valle.. ma la neve ci accompagnerà fino a casa rendendo il rientro un po' meno amaro.

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Torbiera del Vedes
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I masi di Grumes
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Alberi
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Cinciarella
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Amico pennuto
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sabato 12 gennaio 2013

12/01/2013 Semiciaspolada a Cima Lasta/Astjoch (Alpe di Luson)

Finalmente si prospetta un sabato con bel tempo e alta visibilità, ci accordiamo con Max P - che è da tanto che non vediamo - e decidiamo di andare sull'alpe di Luson, un posto dove non siamo mai stati.
Dopo Siusi, Luson è il secondo più grande altopiano dell'Alto Adige. L'omonima valle che conduce a esso si trova a est di Bressanone ed è chiusa dal Sass de Putia, lambisce il massiccio della Plose ed è divisa dalla val Pusteria dall'alpe di Rodengo e Luson.
Dopo un viaggio infinito ci ritroviamo nel parcheggio vicino alla malga Reaswiese (1660 m) . Il termometro dell'auto oscilla tra -3°/4°, ma il sole ci riscalda con i suoi tiepidi raggi. Siamo in dubbio se portare le ciaspole o meno, l'itinerario è conosciuto e battuto, si, no, boh.. alla fine le porto.
C'incamminiamo lungo la strada e poco oltre alcune macchine ci sorpassano... uhm sulla cartina c'era un divieto, ma non sembra.. infatti poi scopriremo che 200 metri più in altro c'è un altro parcheggio.
Usciamo dal bosco e ci troviamo sull'alpe dinnanzi a un panorama grandioso.
Aaah gli altopiani mi mancavano!
Risaliamo lungo una pista ben battuta fin quasi al rifugio Rastnerhütte, da dove la vista si apre anche sulle cime innevate della Val Aurina. Tocchiamo il rifugio Starkenfeldhütte (1939 m) e proseguiamo sulla strada: qui abbiamo il nostro primo incontro con uno sciatore trainato dai cani (denominato sci-can :D): oggi c'è una gara di questa disciplina.
Abbandoniamo la strada e imbocchiamo il sentiero che sale verso la nostra meta; dopo una rampa micidiale fa capolino la grossa croce di vetta.. ed ecco il vento.. sempre più forte.
Giungiamo in cima ai 2194 metri dell'Astjoch o Burgstall e fa un freddo tremendo. Sotto di noi c'è Brunico, dietro emergono le Dolomiti della val Badia, il Sas de Putia, le Odle, Plose, i Sarentini e monti di Fundres.. spettacolo a 360°!
Scambiamo due chiacchiere con un "compaesano" e poi ci diamo alla fuga. Decidiamo di andare a pranzare al caldo in uno dei tanti rifugi e malghe che puntellano l'alpe; stanca di portare le ciaspole sulla schiena le indosso.
Scendiamo verso un valico e da qui alla sottostante strada; evitando slitte e cani annessi giungiamo a un centinaio di metri sopra il rifugio Kreuzwiesen o Prato Croce (1926 m). Tagliamo per un prato e per il bosco, ci incasiniamo un po' sul ghiaccio e su alcuni cespugli ma alla fine giungiamo al rifugio.
Ci sediamo all'aperto riparati dal vento. Io e Max ordiniamo orzetto, Claudio un "secchio" di pasta e nel frattempo contempliamo il Sass de Putia.
Concludiamo il pranzo con un tocco di dolce, il famoso Kaiserschmarren, e poi ci diamo alla fuga perché il vento infine è giunto anche qui. Con le mani e i piedi congelati ci avviamo sulla strada del ritorno.
Inizialmente percorriamo la strada battuta, poi deviamo su un sentiero che attraversa rivi e boschi, un'ultima pausa presso una bella baita di legno e poi ritorniamo sull'alpe e ripercorriamo la strada fino al parcheggio.
..e con un incantevole tramonto finisce alla grande anche questa giornata.
Gli altopiani non deludono mai!

Alpe di Luson
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Scorci grandiosi
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Gli ultimi passi prima della vetta
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Claudio e dietro i monti di Fundres
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Io, Brunico e i monti della Val Aurina
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Uno sguardo sulle Dolomiti della val Badia
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Sass de Putia
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Tramonto
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giovedì 10 gennaio 2013

Ritorno della lontra? :)

Un video per la lontra altoatesina: ecco il documento

BOLZANO. Qualche passo, palmato e caracollante. Poi una rapida occhiata nel buio, quasi a trattenere il respiro prima di scivolare nell'acqua e scomparire. È così che Nostra Signora dei Fiumi è tornata ad affacciarsi in territorio altoatesino a quasi sessant'anni dalla scomparsa. L'ultima presenza documentata infatti è un abbattimento avvenuto nel 1958 a Longega, in Val Badia.

La lontra catturata dalla fototrappola di Davide Righetti in una sequenza di pochi secondi - emozionante e di straordinario valore scientifico – è invece in ottima salute e racconta una storia nuova, quella del ritorno nei fiumi del Trentino-Alto Adige di uno degli animali più affascinanti e minacciati della fauna europea.

Dopo quel fatidico 1958, quanti nel corso degli anni si erano messi a più riprese sulle tracce di questo grande mustelide (parente stretto di faine, donnole ed ermellini, tanto per capirci), alla fine avevano dovuto sempre alzare bandiera bianca. La lontra di carne e di pelo era diventata un fantasma inafferrabile.

Chi la cercava restava sospeso in un limbo di incertezza: poche segnalazioni, sempre più nebulose, rarefatte e inattendibili per lo più dal versante occidentale della provincia, nessun riscontro davvero certo in termini di impronte, resti di pasto, marcature olfattive. Probabilmente l'avevamo già persa eppure erano in molti a restare aggrappati alla sostanza sottile e sfuggente di questa “lontra delle tracce”, sempre più simile alle chimere o agli angeli.

A porre fine a tutte le illusioni è stata nel biennio 1984-85 una ricerca del Gruppo Lontra del Wwf Italia in collaborazione con l'Otter Specialist Group dell'Iucn, l'Unione internazionale per la Conservazione della Natura. Dopo aver battuto palmo a palmo decine di chilometri di fiume in tutta la provincia, il verdetto: estinta. Esattamente come in Trentino.

Quella storica ricerca, condotta con la stessa metodologia a livello nazionale, fu uno shock. La lontra era scomparsa da tutto l'arco alpino e sopravviveva nel Sud Italia con meno di cento esemplari. Amen. Da allora silenzio. Eppure. Eppure - come sta accadendo con lupo, lince e orso - da qualche parte, sull'arco alpino, la lontra ricominciava a nuotare, nell'ombra. E a riguadagnare chilometri. In silenzio.

A fare il punto della situazione è Davide Righetti, il tecnico faunistico bolzanino autore di quella straordinaria sequenza video “rubata” con la fototrappola, il ricercatore a cui la Ripartizione Tutela Ambiente e Paesaggio della Provincia e il Wwf Alto Adige hanno affidato nel maggio del 2010 un piano di monitoraggio pluriennale.

«Tutto è iniziato nel 2008 – spiega Righetti, che collabora anche con l'Ufficio Caccia e Pesca e il Museo di Scienze Naturali di Bolzano – con una segnalazione che ci è arrivata da Andreas Gasser, il ricercatore che studia la specie in territorio austriaco. La lontra era ormai a ridosso dei confini altoatesini, e dunque la situazione era in piena evoluzione e occorreva darsi da fare». Da allora sono passati quattro anni, e il quadro oggi è abbastanza chiaro.

La sintesi è ancora di Righetti: «La lontra è stabilmente presente nel settore nordorientale della provincia con almeno un esemplare, verosimilmente un maschio adulto, ma gli animali potrebbero essere anche di più. Quello che vorremmo fare adesso è estendere il raggio della ricerca, per capire se la specie è in espansione». E che la situazione sia in evoluzione anche altrove sull’arco alpino per quanto molto lentamente, in modo irregolare e con segnalazioni puntiformi – talvolta di difficile interpretazione, quanto alla provenienza - lo dimostrano anche il ritrovamento di una lontra morta nell'agosto scorso in Valtellina e le segnalazioni che sono arrivate negli ultimi anni dalla Valle dell'Inn, dalla Zillertal e dalla Svizzera. Va chiarito però che si parla sempre di numeri piccolissimi e che quindi il trend positivo, se di trend positivo si può parlare, va inserito in un quadro generale di estrema fragilità.

«Su una popolazione austriaca stimata in 7-800 esemplari – spiega Righetti che, per competenza e passione, in Alto Adige è diventato ormai l'Uomo delle lontre- – quella che gravita sull'arco alpino è appena di una cinquantina di animali. In Italia invece si parla di una popolazione di poco superiore ai 200 esemplari, concentrati con poche eccezioni nelle regioni centro-meridionali. Una situazione certamente migliore di quella del 1985, ma ancora ad altissimo rischio».

Sperando che l'Alto Adige faccia la sua parte e che Nostra Signora dei Fiumi trovi un'accoglienza migliore rispetto a quella che è stata riservata all'orso, evidenziando troppo spesso i limiti di una gestione faunistica piegata agli interessi degli agricoltori e di una cultura venatoria che fatica a modernizzarsi.

09 gennaio 2013


Articolo di Mauro Fattor dal quotidiano "L'Alto Adige", link fonte qui